Ricerche
Il dibattito scientifico sull’ inquinamento elettromagnetico e i suoi effetti sulla biologia umana, dura oramai da anni ed è al centro di una controversa contesa.
Per molto tempo rimasta ai margini delle priorità sanitarie dei paesi industrializzati, oggi la questione, a seguito degli smisurati progressi nel campo tecnologico, si impone con forza come un problema non più procrastinabile.
Già dal 2001 l’Agenzia Internazionale per la ricerca sul Cancro aveva inserito i campi magnetici in bassa frequenza fra i fattori di rischio nell’insorgenza di patologie (come la leucemia infantile) per esposizioni a valori di campo magnetico superiori a 0,4 microTesla.
Nel 2018, Fiorella Belpoggi, ricercatrice dell’Istituto Ramazzini a capo del più grosso studio al mondo sugli effetti nocivi delle radiazioni da antenne di telefonia mobile , così polemizzava con la Commissione Internazionale per la protezione dalle radiazioni non ionizzanti (ICNIRP), “C’era da aspettarselo, ora chi di dovere si prenderà la responsabilità di ignorare un pericolo”.
Si stava riferendo ai risultati di uno studio effettuato dall’istituto bolognese su cavie “umane equivalenti”, in cui veniva evidenziata la stretta relazione fra l’esposizione a campi elettromagnetici degli esseri viventi e l’insorgenza di patologie anche gravi (come tumori e infarti), malesseri generalizzati, disturbi del sonno, stati di ansia e stress.
C’era in ballo la revisione delle linee guida per la tutela della salute dai pericoli derivanti dall’elettrosmog. Molti “stakeholder” premevano per una maggiore “flessibilità” al rialzo e minimizzavano il problema, ma i dati parlavano chiaro: il problema era serio.
A definitiva conferma delle preoccupazioni della studiosa italiana, i risultati della ricerca americana condotta dal “National Toxicology Program” che per l’occasione aveva coniato il neologismo “cancro da cellulare”.
Una frase di forte impatto, che non ha bisogno di ulteriori spiegazioni.